“Si l’anima è il corpo. Il tuo corpo, Isabella, una sfida che per timore d’essere umiliata la bellezza della natura non coglie. Andiamo in Africa io e te, nei silenziosi deserti. Andiamo a sentire il respiro di Dio in quelle dune che mi ricordano le curve del tuo corpo ricoperto dal velo del mio incontenibile desiderio.
Andiamo dove ti pare. Isabella. Le laterali del tuo nome mi provocano le vertigini quando ti nomino nel delirio dei miei sogni, quando finalmente alle cinque del mattino riesco a prendere sonno e i tormenti si dissipano per darmi giusto due ore. E tu vieni in quelle ore e porti i tuoi veli di Salomè e i tuoi profumi e io non ho teste da donarti e invano lascio cadere dalle labbra il tuo nome, e le laterali del tuo nome mi scoppiano in bocca come un’esplosione di luce abbagliante che non può esser pronunciata se non dal cielo delle meravigliose estati che lambiscono i prati dell’eden e tu sei l’estate e sei l’eden. Isabella. E quando mi sveglio, e ricomincio a morire il tuo nome è ancora dentro la mia bocca e io mi sento già allucinato, mi sento già sconvolto. Preso per l’anima e scaraventato nell’abisso degli occhi tuoi che non colgo. Degli occhi tuoi che ogni istante desidero e che non vengono e non portano sollievo alla mia sete.
Isabella. Devo vederti. Dirti tante cose o nessuna. Ma vederti.”
“Poi arrivò il giorno della mia laurea. Nell’aula magna faceva un caldo terribile. La commissione, come un plotone d’esecuzione, scrutava da dietro la cattedra i miei occhi rossi di sonno come in attesa di potermi cogliere in fallo e fare fuoco.
Avvertivo alle spalle, in prima fila, i respiri ansiosi dei miei parenti. I miei genitori, mia sorella e alcuni zii venuti dalla Calabria per assistere all’evento.
Avvertivo il silenzio di Isabella seduta nella penultima fila. Aveva un paio di occhiali da sole grossi e rotondi sul viso e tra le mani i biglietti dell’aereo. Li sfregava tra li loro producendo un rumore sessuale. Le sue gambe nude sotto il leggero vestito estivo producevano nella mia immaginazione vertigini che in quel momento non mi aiutavano a restare concentrato. Saremmo partiti per il weekend. Direzione Istanbul.
Cominciai a discutere la mia tesi. Dedicai un paio di minuti all’introduzione dell’argomento, poi mi dilungai per dieci minuti su quello che ritenevo essere l’argomento chiave, il centro di ogni costrutto concettuale di quel lavoro. Presi a spiegare come la pornografia destrutturata avesse dettato legge in ogni ambito culturale nell’era del consumismo. I cambiamenti storici. Le svolte del diciannovesimo secolo e quelle degli anni ’60 del ventesimo. La donna voleva la lavatrice e l’emancipazione, l’uomo si divideva tra le interpretazioni ingenue di una sessualità repressa che adesso scalpitava e reclamava il suo sacrosanto spazio e un senso di colpa provato per ogni pensiero che fomentava una pericolosa eccitazione. Riportai oltre agli ovvi esempi delle pubblicità televisive, una serie di immagini che appartenevano al mondo della politica, dello sport, dell’arte completamente basate sul richiamo alle dinamiche interfunzionali del “porno”. Feci ben attenzione a chiarire le differenze con l’erotismo. Con i meccanismi di rappresentazione esplicita e oggettiva dell’osceno e con quelli riguardanti l’applicazione dell’ostacolo da frapporre al desiderio, manovra che induce ad accrescere l’appetito, a voler comprare. Feci ben attenzione a chiarire come la vera poetica della pornografia fosse stata degradata a subdolo strumento di marketing, e come allo stesso tempo questo processo di degradazione l’avesse posta ad un livello di consapevolezza sociale più elevato. Finalmente, conclusi, la pornografia sembrava essersi liberata una volta per tutte della falsa funzione di trasgressione o di eccesso. Viveva per quello che era, nella sua purezza e nella sua perfetta indipendenza. Le meccaniche del divieto o del peccato adesso appartenevano soltanto alla cultura, alla sfera intellettuale, all’interpretazione degli spot pubblicitari, e quelle meccaniche non snaturavano più i primordiali impulsi sessuali così magnificamente rappresentati in quell’esperienza depurata che chiamiamo pornografia.
Torniamo tosto ai lupanari, pensai.
Quando terminai il mio discorso un profondo senso di soddisfazione mi pervase e quella sensazione fu come qualcosa di fisico, come quando si ritrova il riposo dopo una lunga corsa e tutti i muscoli si rilassano per rigenerarsi.
La commissione non ritenne di aggiungere altro.
Ottenni la grazia e partii per Istanbul.”
“Nasci. Fotti. Crepa. Se ti riesce ama. Ama il prossimo tuo come te stesso, ma se non ami te stesso allora portatelo soltanto a letto. Scopatelo e poi lascialo in pace, dimenticalo.”
“…non è questa la vita in cui ci incontreremo come intimamente desideriamo, pensai.”